venerdì 31 dicembre 2010

As Time Goes By [ma 'ndo va?]

In realtà propositi per l'anno nuovo non ne faccio mai, dal momento che li faccio a settembre. Regressione, lo so. Ma l'anno inizia come quando si va a scuola: dopo le vacanze estive. Per cui semplicemente passate le feste e gabbato lo santo si ricomincia, pressapoco come prima.
La questione che mi mette ansia, se proprio proprio di ansia vogliam parlare, è la velocità con la quale si sta già riempiendo l'agenda del prossimo anno. Considerando che i cosiddetti impegni ufficiali iniziano col 10 gennaio, ho già bloccato il 13, il 25, il 28, il 31 gennaio e il 1° febbraio. Il che significa che mi sono già fulminato il primo dodicesimo di anno senza aver nemmeno iniziato. Non vale.

Ah, la mia canzone per l'anno nuovo è questa.

(almeno fin che non me ne viene in mente un'altra)

E.u.genia 1 e 2

Senti, andiamo oggi pomeriggio presto a fare la spesa per domani sera, così ci evitiamo la ressa del 31.
Le ultime parole famose. Esattamente come la partenza intelligente del primo fine settimana di agosto.
Tutti in coda alle casse. Anche noi.
Geniali.

giovedì 30 dicembre 2010

Genetica

Entusiasta del lavoro svolto in soffitta, l'uomo di casa è preso dalla sindrome del già che ci siamo e pensa al repulisti generale. Temo sia il suo modo di esorcizzare l'anno nuovo che arriva. Punta il dito verso le figlie, stile nomination del grande fratello, e propone di mettere mano ai loro armadi, alle loro stanze, ai loro scaffali. Gli offro, in cambio della pace domestica, due-dicasi-due dei miei cassettoni in cucina. Ma dopo essersi sbarazzato di qualche set di posate da insalata, che tanto usi le altre, un pelapatate, che tanto ne hai uno nuovo, di innumerevoli coltellini spalmaburro e di un numero imprecisato di apribottiglie torna alla carica. Sentendomi come Kofi Annan nel 2003, cerco la mediazione. C'è sempre la stanza-rifugio. Quella che serve da ufficio, da sala tv, da sala giochi, da sala lettura e che è un coacervo di oggetti e scatole di disparatissima provenienza. L'illusione di aver avuto un'idea geniale dura non più di cinque minuti. Perché entra in gioco la genetica, e con la genetica c'è davvero poco da scherzare. Così quel lui conserverebbe senza ombra di dubbio è quel che loro butterebbero dritto nel rusco. E viceversa. Ho assistito a venti minuti di discussione sull'opportunità di buttare una scatola piena di pacciami ricevuti in dono dalle amichette delle elementari, sorpresine Kinder incluse. La scatola, per amor di cronaca, nel rusco ci è finita davvero. Ma solo accompagnata, per par condicio, da un portainchiostro anni Settanta, che forse, dico forse, lui utilizzava per i disegni a china a scuola. Trincerandosi dietro il suo può sempre servire (formula magica alla quale le figlie femmine contrappongono l'altrettanto taumaturgico ma è un ricordo) ha resistito fin che ha potuto, poi lo ha gettato nel sacco con un sospiro e io mi sono impegnata con le tre mostre a controllare che non venga recuperato in extremis. E giuro controllerò.

mercoledì 29 dicembre 2010

Sentimentalia

In questa casa il già che ci siamo è quasi una regola. Temutissima, per altro, soprattutto dalla parte minorile della famiglia che la legge solo nell'accezione di incombenze aggiuntive all'orizzonte. E il già che ci siamo, in questo caso nell'accezione del già che siamo tutti in casa nello stesso momento, è saltato fuori anche ieri. Insieme alla splendida idea di svuotare la soffitta dalla montagna di ciarpame che la affolla da diciotto anni. Con meno sette gradi fuori e un sottotetto non coibentato la proposta è stata accolta con grida di giubilo. Come poteva essere diversamente? Tempo tre ore e ci siamo ritrovati sporchi come spazzacamini e con una montagna di roba da portare in discarica, che ci son voluti tre viaggi con la mia Kangoo a pieno carico. Oltre a qualche memorabilia da lucciconi agli occhi. Come i fiocchi con i quali abbiamo annunciato al mondo vicinato la nascita delle tre pargole. Un po' impolverati, ma ancora graziosi, tanto che il padre, con un raro tono commosso, li ha offerti alle figlie, perché li conservassero tra le loro cose.
"E' un ricordo vostro, mica nostro", le infami risposero. Ho visto Franti sorridere, dietro le loro spalle.

martedì 28 dicembre 2010

Natale Lato B

Il Lato B del Natale si mostra verso mezzanotte. Quando satolla di cibo e affetto stai per tornare a casa tua, happy family al seguito. Ha l'aspetto di due uomini arrabbiati. Ha l'odore del troppo alcool bevuto. Ha il rumore di colpi ora secchi, ora soffocati. Ha la voce di tuo marito, di tuo padre, di tuo fratello, che cercano di dividere, calmare, parlare. Ha il volto tumefatto di un uomo che di pugni ne ha presi un sacco e ancora ne prenderebbe, se non ci fossero di nuovo tuo marito, tuo padre, tuo fratello che trattengono, parlano, blandiscono. Ha la voce dell'operatore del pronto intervento, che chiami perché almeno un'ambulanza arrivi. Ha il suono del tempo, quanto tempo, che passa. Mentre uno piange, mani e volto piene di sangue. L'altro che aspetta fermo e racconta senza fermarsi un attimo. Di anni-giorni-ore spesi a lavorare. Del suo rancore verso l'altro, le sue sbronze, la sua violenza. Non diversa da quella che sente dentro lui, adesso.
E poi ci sei tu. Che mentre il tempo scorre senza nessuno in arrivo, ti avvicini al bar ancora aperto e chiedi due camomille o due thè, qualcosa di caldo per loro. Paghi, certo, mica gratis. E ti senti rispondere no. Che loro a quelli lì, ai marocchini, il thè non glie lo danno. Che lì dentro non ce li vogliono. Che vadano in stazione. Peccato che fino a mezzora prima i loro soldi, quelli con i quali si son pagati le birre e qualunque altra cosa abbiano bevuto, gli siano andati benissimo e non avessero provenienza nè cittadinanza. Te ne vai. Tua madre, su in casa, prepara un thermos. E intanto, finalmente, anche l'ambulanza arriva.

lunedì 27 dicembre 2010

Ho un sassolino nella scarpa...

...e prima di parlare del lato B del Natale ho deciso di togliermelo. Perché mi son resa conto che mi dà proprio fastidio. Mi è capitato di leggere in questi giorni svariate invettive e depressioni natalizie. Di chi il Natale non lo sente, di chi gli fa angoscia, di chi gli mette ansia e di chi vorrebbe svegliarsi direttamente al secondo fine settimana del nuovo anno. Liberi. Liberissimo, ognuno, di vivere e sentire o non sentire questi giorni come gli pare e piace. Non liberi, però, di etichettare chiunque altro viva e senta questi giorni diversamente come ipocrita o consumista o tutti e due già che ci siamo. Non intendo avvolgere di atmosfere di zenzero e cannella chi a zenzero e cannella è allergico. Ma non intendo nemmeno dare articolate spiegazioni del perché, invece, io questi giorni me li godo davvero. E da sempre.  Senza ipocrisie.

domenica 26 dicembre 2010

Natale Lato A

Quel che a me piace del Natale è soprattutto il tempo che ci regaliamo per stare insieme. Senza orologi, sveglie, appuntamenti, ritmi e orari. Si sta. Semplicemente si sta. Fin che ce n'è. Fin che ci va. Che mi riecheggia Ligabue, ma siccome non lo reggo, temo sia anche vero. Va beh. Quest'anno è stato esattamente come l'anno scorso e quello prima ancora e quello prima prima, e c'è questa cosa rassicurante delle non-novità che toglie anche ogni parvenza di stress al tutto. Rito dei regali incluso. Che poi sembra che questa volta ci abbiamo preso davvero tutti, segno che nessuno ha fatto le cose a caso. Nemmeno mio fratello, che ha saputo reinventare la stantia abbinata cioccolato + mancetta togliendovi ogni patina di ovvietà. Così per mesi, sospetto probabilmente per tutto l'anno, visto il risultato, di ritorno da ogni passaggio in Italia, ha provveduto a versare tutti gli euro di moneta rimastigli nelle tasche, in macchina e nel portafoglio in un vaso di vetro. Che debitamente sigillato è stato consegnato alle nipoti in estasi. Che avrebbe portato del Toblerone, poi, se lo aspettavano, visto che glie lo avevano chiesto con insistenza, come se in Italia fosse merce rara e introvabile. Le ha accontentate. Presentandosi con un Toblerone da un metro. Spaziale ed esageratissimo. Quattrochiliemezzo di cioccolato, mandorle e miele. Che gli ho preannunciato verranno equamente ripartiti tra tutti i pargoli del nostro gruppo di amici. Cosa del resto da lui ampiamente prevista. Altrimenti il prossimo Natale gli tocca regalarci il conto del dentista e diabetologo.

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Per Imma... Rende l'idea?

giovedì 23 dicembre 2010

Nataliziosità



Comunque ai miei colleghi, quelli ai quali voglio bene, ho regalato il Vov. Quello fatto con le mie manine andando a rispolverare la ricetta della nonna. Che era davvero un sacco che non lo facevo. Anzi, era un sacco che non lo bevevo. Poi una sera a cena mi han proposto l'alternativa. Vov o Limoncello. Vov tutta la vita, per una che il limoncello non lo regge, amenochenonsiaquellodellaziachequellosìchesadiscorzadilimoneedèbuonissimo. Così mi è venuta l'ispirazione. E vai di uova, di marsala, di zucchero, di alcool. Con un profumo per casa che sapeva di cose buone. E da quel che ho capito è come se avessi riproposto un tuffo nel passato. Perché la mia nonna il Vov non lo chiamava Vov ma ricostituente. E in tempi opulenti nessuno ne aveva bisogno per tirarsi su. Adesso fa un po' da psicoterapia, I presume. Anche ai miei colleghi.

Ghe pensi mi

Che credo sia una delle espressioni del bauscia meneghino che meno mi piace. Soprattutto perchè la penso sempre pronunciata con la voce del diversamente alto che sta a Palazzo Chigi.
Comunque a Natale ghe pensi mi. Cioè, invento, penso, cerco e trovo regali. Per tutti. Perché prima erano le bimbe, che tu sai meglio di me cosa vorrebbero avere, poi loro son cresciute e allora non son più bambine e lo sai bene che non è facile, poi il papà per la mamma, poi il fratello per mamma e papà, che ci pensi tu vero, che mica sto a portare poi da Zurigo, poi il suocero per il marito, che io non li conosco più i negozi e poi con questo caos non mi muovo volentieri.
Invece io sì. Io caracollo volentierissimo dopo l'ufficio, entrando a mò di razzo da una parte e poi dall'altra, con la mia checklist ben salda in mano. Che in realtà, forse la cosa più lunga è stata proprio la checklist, perché io ci ho anche questo difetto, che a me i regali in serie non piacciono mica e allora sto a pensare, architettare, combinare. Fino al rush finale.
Pensavo di farne una nuova professione. Per il prossimo anno. Se mi pagate, ghe pensi mi.

mercoledì 22 dicembre 2010

Badanti

Non si può mettere la badante di Bossi a vicepresidente del Senato.
Nè farle presiedere qualsivoglia cosa, men che meno una seduta delicata come quella di ieri.


[non è mia, ma la sento tale]

martedì 21 dicembre 2010

Genitorialità

Mi sono volutamente astenuta, domenica e ieri, da qualsiasi commento sulle scellerate parole di Gasparri. Perché le mie figlie in piazza ci vanno. Perché manifestano. Perché protestano. Perché si incontrano e si confrontano. E io faccio fatica a vedere nei loro faccini, nelle loro sciarpe, nei loro guanti colorati i pericolosi sovversivi di cui parla il capogruppo dei senatori Pdl. Né riesco a vedere tra i loro amici i potenziali assassini che dovrebbero farmi opporre al loro desiderio di dire No a qualcosa che toglie loro ancora un pezzo di futuro. E mentre Gasparri blaterava, domenica, G. era in presidio, a Cairoli, con i suoi amici. Orgogliosa di esserlo. Orgogliosa di leggere lei, per la prima volta col megafono in mano, numeri, cifre, dati sui tagli che la sciagurata riforma porta alla sua scuola. E io non so che faranno domani a Milano gli studenti. Ma mi vien voglia di andare con loro.

Simpatici mestieri in via d'estinzione

Come le rimagliatrici di calze, gli aggiustatori di dischi del telefono, i dottori delle bambole di celluloide,
dal 1° gennaio scompariranno le piegatrici di sacchetti di plastica.
Deo Gratias.


P.S. Ho scoperto che su Google alla ricerca piegare sacchetti plastica a triangolo corrispondono 6.430 risultati. Estiquatsi.  

domenica 19 dicembre 2010

Momenti di [non]trascurabile felicità


Che poi Eto'o l'ho visto qualche tempo fa, mentre ero a una colazione di lavoro a Milano.
Era a meno di tre metri da me. E credo di non essere stata l'unica a rischiare più volte di perdere il filo del discorso.

sabato 18 dicembre 2010

E meno male che non era un ponte

Che mezza Italia si blocchi, tra camion di traverso in autostrada, treni fermi per linee aeree fuori uso, metropolitane in tilt per il freddo, è solo l'ultima dimostrazione dello sfascio cui è giunto questo disgraziato Paese. Perché non mi risulta che le neva caduta ieri, quella sulla quale ironizzavo poco meno di 24 ore fa, sia stata epocale. Una nevicata dicembrina. Come le nostre latitudini, longitudini e pure il calendario annoverano tra gli eventi possibili.
Certo che se mancan fondi, soldi, personale, mezzi, manutenzione, sale - anche in zucca -, lo sfascio è il minimo che ci si può aspettare.
Però loro ci hanno i grandi disegni, le grandi opere. Dal ponte sullo stretto al nucleare. Visto come san gestire due gocce d'acqua e tre centimetri di neve, io resto sempre più perplessa sull'opportunità di far gestire a uno qualsiasi di loro una centrale, o anche solo un pilone del ponte.

venerdì 17 dicembre 2010

Socialcoserie ovvie

Credo che il cinquantapercento dei miei contatti milanesi su facebook questa mattina abbia aggiornato il proprio status con la parola Neve.
E ce lo so. E ce lo sappiamo. Siamo troppo cresciuti per credere sia polistirolo. Siamo troppo incazzosi per illuderci che sia polvere bianca. Quella polvere bianca. Quindi è neve. A dicembre. Ci sta. A Milano, giuro, ci sta. Come ci sta che faccia freddo. Anche tantissimo freddo eh. Quindi passiamo oltre. Magari evitando di ricordarci, socialcosamente, che tra otto giorni è Natale.

giovedì 16 dicembre 2010

Il buongiorno si vede dal mattino

Mi rendo conto che è una questione molto infantile. Però quando mi sveglio al mattino e trovo un nuovo google-doodle sorrido. Uscita dall'età dell'ovetto Kinder, è la sorpresina per la giornata. Mi accontento di poco, lo so. Comunque quando il doodle è legato a qualche personaggio che amo, sorrido un pochino di più. Sempre per la solita metafora dell'ovetto e della Kinder. Per cui, stamattina ho sorriso proprio tanto quando ho visto che Google ha deciso di celebrare Jane Austen. Che 235 anni non è che son proprio pochi. Però per una vecchia sentimentalona come me Pride and Prejudice resta uno dei romanzi più piacevoli della mia vita da lettrice. Di quelli che ogni tanto riacchiappo e sfoglio, giusto per leggere un paio di pagine. Meglio di Topolino, cioè.

Comunque ieri sera al cineforum ho visto Inception.
Sarà per questo che ho dormito un sonno senza sogni?

mercoledì 15 dicembre 2010

La Canzone del Giorno

Con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così
Che abbiamo noi
Che abbiamo [già] visto Genova...

martedì 14 dicembre 2010

[Imbarazzanti] Mercatini di Natale

Impegnarsi per lavorare, mentre nella schermata sottostante scorrono gli Sms di Aldo Cazzullo è un vero e proprio cimento. Comunque al Senato la fiducia glie l'hano data, ma questo si sapeva. Alle Camere la chiama (sic!) è ancora in corso, ma già è chiaro come finirà. Perché poi quelli del si, del no, del forse, del ma, del cosa mi dai in cambio alla fine sono tornati tutti all'ovile. Pecunia non olet, dicunt. Ma per favore ci risparmiassero la parola responsabilità. Grazie.


Sogni d'oro

Spero abbiano dormito bene, i vari Scilipoti, Razzi, Siliquini. Non deve essere facile prendere sonno mentre si avvicina il primo e ultimo giorno della loro vita in cui conteranno forse qualcosa.

domenica 12 dicembre 2010

Natalità

Una volta ero convinta che i mercatini di Natale fossero una cosa da crucchi. Roba che si fa da Trento in su, sconfinando poi in Austria, Germania e proprio per non farsi mancare nulla fino in Svizzera.
Illusa eh.
Qui e' un tutto un proliferare di banchetti e mercati, tutti rigorosamente artigianali. E anche se uno ha fatto scorta e sbornia in Fiera, poi nella bancarella ci incappa sempre. Quella cittadina, quella rionale, quella parrocchiale, fino a quella associazionale, basta scegliere una causa, possibilmente persa, che il mercatino diventa tappa obbligata.
Ora, non e' che uno chieda sempre le pantofole di feltro o il sacchetto coi semi di lino. Pero', per favore, la smettiamo di decorare coppi? Che pensavo anche di farne scorta, si sa mai che nella mia vita debba prima o poi rimetter mano al tetto di casa. Pero' col decoupage mi fan pure un po' tristezza.

p.s. tralascio, volutamente, il fatto che a Roma vi siano ben altri mercatini in corso.
Ciarpame, non so come altro definirli.

venerdì 10 dicembre 2010

Con.vivenze

Tu, che sorseggi il tuo caffè al ginseng, che blateri di Santander,
che speculi sul Guggenheim e racconti del Kinderheim
Tu, che gorgheggi sul nulla, che programmi il week end per uscire coi friend
Tu, che scegli i biscotti e intanto borbotti
Si, proprio Tu

Scusa, se lavorando disturbo la tua pausa.

(mavaffanculo, va)

mercoledì 8 dicembre 2010

Harry, oh yes!

Io il capitolo numero sei della saga di Harry Potter al cinema non l'ho visto. Credo, o per lo meno le mie figlie giurano sia così, di essermelo sorbito solo in home video. Ma devo averlo rimosso, visto che non me lo ricordo. E comunque e' dal Calice di Fuoco in poi che i film mi son sembrati francamente inguardabili. Bignami mal fatti, che tolgono e distorcono fatti e trame agli occhi di chi ha letto i libri, accozzaglie di eventi poco plausibili per chi invece i libri non li ha neppure iniziati.
Ma questo e' il settimo capitolo. Parte prima. Quello che anticipa il gran finale. E allora, give it a chance, mi son detta. E ho fatto bene. A parte il fatto che l'aver spezzato il malloppone in due parti consente maggiore fedeltà alla storia, finalmente si abbandonano i pruriti ormonali e si cammina decisi verso l'oscurita'. Qualcosa giocoforza non e' spiegato: vorrebbe dire chiarire forse con un po' troppo anticipo il ruolo di alcuni personaggi. Pero' il film regge e regge bene. Nagini fa paura quanto basta e quanto deve, di Mundungus Fletcher a mala pena mi ricordavo, Nymphadora compare troppo poco per i miei gusti, Neville Paciock dice solo una battuta, che pero' già ne delinea la nuova sicurezza, la scena a casa di Bathilda Bath e' resa proprio come me la immaginavo, mentre c'e' qualche reticenza sul legame tra Silente e Grindelwald. E comunque si ride, anche. Tanto che alla fine, a me e' spiaciuto andarmene. Così come mi spiace dover aspettare a luglio per la seconda parte. Una maratona Harry Potter l'avrei anche fatta, perché no?

martedì 7 dicembre 2010

Lo scrivo? Lo scrivo

A me l'idea che i radicali possano votare la fiducia o anche solo astenersi il prossimo 14 dicembre fa ancora più schifo che sentire gli avanti e indrè di Fini e Casini. Più o meno come quando parla Capezzone, ecco. Che con lui ci ho un conticino in sospeso. Comunque poi vorrò vederli quando qualcuno vorrà mettere le mani sulla 194, quando si tornerà a parlare di amnistie, immigrazione, di fine vita. Oh sì, li vorrò proprio vedere. Avranno ottenuto ex lege i loro cinque minuti di gloria in Rai. A quale prezzo?

sabato 4 dicembre 2010

Jesse

Più ci penso e più la proposta del consigliere provinciale di Padova, Giovannoni, mi manda in bestia. Perché non c'è ritrattazione, correzione di tiro, rettifica, malinteso che tenga. Quando uno le dice, certe cose, vuol dire che le ha radicate nel fondo dell'anima. Posto che un'anima ce l'abbia. E dovrebbe essere chiamato a risponderne. L'apologia di razzismo esiste.

E comunque Giovannoni arriva comunque qualcosa come una settantacinquina di anni in ritardo.
Qui sotto Jesse Owens. Berlino. 1936.

venerdì 3 dicembre 2010

Ponteggio [Prove pratiche di]

Allora, da queste parti è ormai il count down. Poche ore, dipende da quando si son timbrati i cartellini, e il GPS, Grande Ponte di Sant'Ambrogio, avrà ufficialmente inizio. Perché per i milanesi, sia ben chiaro, l'Immacolata non conta quanto Sant'Ambrogio, che quello ce lo abbiamo solo da queste parti e ce lo teniamo ben stretto, con una devozione che Padre Pio se la scorda. Perché con il Gps si apre la stagione in montagna e inizia ufficialmente anche il Natale. Che tutti i giorni che poi passano dal 9 al 24 dicembre sono semplici incidenti di percorso, nei quali bisogna finire tutto quel che c'è da finire prima del panettone, dei brindisi e degli auguri. Scuole chiuse, comunque. Anche quelle di provincia che non sia mai che non si adeguino al Gps. Per quel che ci riguarda, l'idea è di non muoverci da qui. Il che non significa non muoversi da casa, ma di orbitare intorno a Milano in un tour de force che secondo le tre mostre, due delle quali minorenni, dovrebbe entusiasmarmi. L'albero il giorno 7 è di rigore, così come è di rigore una mattina all'Artigiano in Fiera. Gli Oh Bej Oh Bej si saltano, va da sè, mentre mi mette ansia la richiesta della più piccola delle tre: vuole che la accompagni da Abercrombie giusto per vedere se i modelli son belli come dicono le sue amiche. Che ovviamente verrebbero tutte in spedizione con noi, per non perdere la chance. Non è che esiste una webcam nel negozio, vero? Però siccome mi vogliono bene, mi han detto che mi portano al cinema. Purché paghi io, va da sé. Ma per Harry Potter non ci metteranno poi molto a convincermi.

Ah. C'è anche la prima della Scala. Quest'anno Die Walküre, mica pizza e fichi. Troppa cultura eh? Ma c'è sempre il red carpet per distrarsi un po'.

giovedì 2 dicembre 2010

Lib[e]ra.mente

Oggi Repubblica dedica un servizio alla faccenda dei Book Bloc (che magari se qualcuno glie lo spiegasse che non è block non sarebbe così male). E devo dire che c'è qualcosa di davvero drammatico nelle immagini che circolano in rete, dei poliziotti che manganellano i libri. Che se uno avesse voluto costruire a tavolino un simbolo per un potere che se la prende con la cultura, avrebbe fatto fatica a trovarne uno più efficace di questo. Però è vero anche che cerco di sbirciare, tra le gallery, i libri scelti da questi ragazzi. I titoli. I romanzi. Gli autori. Per capire se davvero c'è tanta distanza tra noi. Ed è bello pensare che c'è ben più di qualcosa che ci unisce. E sta in quelle pagine lì. Quelle vecchie di secoli, e quelle nuove di mesi o di pochi anni appena. E che nemmeno un manganello riesce a cancellare.

mercoledì 1 dicembre 2010

E poi

ho finito per comprarmela, la gonna di Desigual.
Che tanto da Coin non ci riesco mai a passare.

martedì 30 novembre 2010

Una donna in Barca

[ci vorrebbe la cediglia, ma senza fa più citazione colta, o pseudotale. Punto]
Io lo sapevo che dovevo venire a Barcellona. Ma ero convinta di doverci venire oggi. Mica ieri. E per fortuna che sono un donnino previdente e venerdì ho stampato il biglietto elettronico prima di uscire dall'ufficio buttandolo in borsa con la nonchalance di chi non solo ha tutto un fine settimana davanti a se', ma soprattutto e' appena riuscita ad accreditarsi a quel vernissage al quale fa il filo da mesi, giusto giusto lunedì sera. E invece. E invece non so come il biglietto l'ho guardato e non so come me ne sono finalmente resa conto. Partenza lunedì 29. Tepossino. Così alla fine son partita al volo, ho perso il vernissage e ho perso anche l'ultima puntata di Fazio e Saviano, che infatti questa volta son stati sotto i nove milioni di spettatori. Perché io valgo. Comunque le previsioni davano temperature splendide, qui a Barcellona. E infatti piove. E ieri sera c'era la partita. Il tassista non era molto contento quando gli ho detto che sono interista. Per fortuna lo ha saputo quando mancavano trecento metri all'albergo, altrimenti mi avrebbe piantato armi e bagagli in cima alla Diagonal. Comunque il Real ha preso cinque pappine, il Mou si e' preso la colpa e qui han sparato i fuochi artificiali. Tanto piove e non li ha visti nessuno. Tie'. Qui a cena tiene banco Wikileaks ed e' già qualcosa, almeno non mi chiedono di Berlusconi. Il moto di tristezza mi e' preso ieri, quando ho letto della morte di Monicelli. Poi ho pensato che ha scelto lui il momento per andarsene. O forse a me piace pensare che sia così. Mi piace credere che abbia voluto andarsene prima che la malattia o qualunque altro male, visibile o meno agli occhi degli uomini, ne ledesse la dignità.
Va beh. Torno domani. Ma prima passo da Desigual. Che lo so che c'e' anche a Milano, ma qui mi piace di più.

lunedì 29 novembre 2010

Extra.terrestre

C'è un segnale che una donna non dovrebbe mai trascurare di cogliere, quando decide di unire la sua esistenza, le sue sorti e il bagno con un uomo: quanto tempo questi riesce a reggere le lampadine appese al filo in ogni stanza. Se entrambi riescono a mascherare i mesi che passano dietro la patetica scusa che le luci sono importanti, bisogna dunque sceglierle con cura, è vero amore. E si può ragionevolmente sopravvivere a molto altro ancora. Al digitale terrestre, per esempio. Perché anche noi, nel corso di questo fine settimana, ci siam fatti prendere dalla smania milanese del momento, e abbiam provato a risintonizzarci. Anzi, a risintonizzare l'unico televisore dotato di decoder. Perché l'altro, un glorioso Trinitron che sta con noi da 21 anni ormai, è collegato a dvd, vcr e affini e non risente del fatto di aver perso qualsiasi sintonia. L'uomo di casa, senza scomporsi, ha dichiarato che non doveva essere cosa complessa. Basta far fare tutto il giro. Qualunque cosa questa frase significhi. Il risultato è che adesso prendiamo un centinaio di canali, ReteCapri inclusa, oltre a RaiUno, RaiDue e RaiTre, che però trasmette il Tg regionale del Lazio. A dire il vero mi bastava la Moratti senza doverci pure aggiungere Alemanno. La7 sembra sparita e questa è la cosa più grave. Ieri sera ho provato con MinzoTiggì delle 20, ma a parte il blateramento di Frattini, non avrei capito una beneamata di Wikileaks, se non fosse che la storia l'avevo già letta in rete. Fatt'è. Le figlie han detto poco male, abbiamo una marea di Dvd da guardare. L'uomo di casa ha fatto spallucce e ha detto: tanto tu parti per la Spagna e io Fazio vado a vederlo dai tuoi già che ci sono. Morale tutto resterà così, provvisorio, in attesa che si sintonizzi da solo. In fin dei conti la tv è una cosa importante. Dobbiamo trovare i canali che davvero si abbinino con l'arredamento di casa.

Warm Water [Discovery Of]


Ah beh.

venerdì 26 novembre 2010

Dei Pro e dei Contro

Qui sembra la fabbrica del Duomo. Di là il cantiere. Di qua i lavori in corso. Il che significa che durante il giorno si montan scrivanie, che verso sera arrivano quelli della Gondrand, con il carico di scatoloni portati via di là e che al mattino arrivano quelli che di là si trasferiscono di qua. E noi che ormai siamo qui da lunedì facciamo anche il figurone dei veterani. Cioè sappiamo dove sono i bagni, le stampanti, la macchinetta del caffè, sappiamo che si fuma solo in cortile e che al quinto piano c'è una bella terrazza. Quando non nevica, suppongo. Comunque musi lunghi ce ne sono, perché per qualcuno, che non sono io, i tempi di commuting si sono triplicati. E poi c'è la faccenda dell'open space, che qui è proprio open. E uno deve amarla proprio l'umanità per star bene in un vero open space.
Comunque, anche io come i miei colleghi, mi son fatta la listina dei pro e dei contro, che di questi tempi, tra Fazio e Saviano, le liste van tanto di moda.
Pro
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti
Contro
Siamo in 100 su uno stesso piano e tutti parlano
Pro
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti
Contro
L'area ristoro è esattamente dietro la mia scrivania
Pro
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti
Contro
Ogni minuto qualcuno sembra aver bisogno di un caffè
Pro
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti
Contro
Non c'è un armadio nemmeno a pagarlo
Pro
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti
Contro
L'aria è così secca che ho le labbra tagliate e una sega circolare in gola



Così, dopo aver ben soppesato i pro e pure i contro, sono giunta alla mia personalissima conclusione.
C'è una sola cosa che conta:
Da casa all'ufficio ci metto dai 7 ai 12 minuti.

Going back to my Roots

Ovvero, le piccole gioie del mattino.
Perché svegliarsi e trovarsi Pippi Calzelunghe nel logo di Google strappa il sorriso nonostante il sonno, nonostante la stanchezza, nonostante la neve che cade. E va bene che nell'Amarcord ogni tanto ci si rotola con tanta voluttà, però è rassicurante come un bicchiere di latte caldo la sera, prima di andare a dormire.

Per Pippi facevo una passione, e non solo per quella della tv. Perché quando una mia compagna delle elementari aveva portato a scuola un libro arancione, scritto da un persona con un nome stranissimo, che ricopiai con fatica su un pizzino che trionfante consegnai a mia madre, ne fui subito certa. Lo dovevo avere anche io. Lo chiesi a Gesù Bambino, che all'epoca era lui che aveva l'incombenza dei regali, così come gli chiesi, il Natale successivo, Le Vacanze all'Isola dei Gabbiani, scritto dalla stessa persona con quel nome così difficile. E Le Vacanze all'Isola dei Gabbiani sono stati anche il mio telefilm (sceneggiato?, cos'era?) preferito di quegli anni lontani. Che fa un po' male pensare che non ve ne sia più traccia negli archivi della raitivù. Io ne ho un paio di episodi in svedese, sottotitolati in tedesco. Non proprio il massimo, ecco.
Però "L'Isoletta sul mare blu" me la ricordo ancora. E anche Bimbo babibobobimba bubabababumba bobibobibimbumba. Have a nice day!

mercoledì 24 novembre 2010

Sobrietà

In effetti sì. Mi sembra giusto un richiamo alla sobrietà. Soprattutto fatto dall'uomo del bunga bunga. Dall'uomo che fa le corna nelle foto ufficiali dei summit dei capi di stato. Dall'uomo delle barzellette imbarazzanti. Dall'uomo dei complimenti pesanti. Dall'uomo delle farfalline e delle tartarughine. Si, si. Giusto. In effetti la predica non va mai dissociata dal pulpito.

giovedì 18 novembre 2010

Tecnofancoserie

Socialcosi a parte, a me l'idea che finalmente Amazon apra anche in Italia mi elettrizza mica poco. Per tutta una serie di motivi. E poi non è che il trip degli ebook mi sia passato. Anzi. Poi lo so che alla fine qualche trucco ci sarà e che le cose non potranno andar così lisce come uno spera, ma fin che i nodi non verranno al pettine, perché non pensare che non ce ne siano?

Resta il punto che considerare l'ebook un servizio digitale, con l'Iva al 20 invece che al 4% assolta all'origine, non è che faccia poi così bene allo sviluppo del comparto. E rende meno semplice sviluppare politiche di pricing davvero chiare.

Socialcosamenti

Per motivi lavorativi, ma anche per curiosità, lo ammetto, mi sto gingillando in questi giorni con RockMelt, il nuovo socialbrowser, con Android e pure con Windows Phone. Quello nuovo. Estiquatsi.
Che poi la faccenda di RockMelt mi fa anche un po' sorridere. Solo a inviti, strillan sulla home page. Poi li sotto ci sta il link. Per farsi invitare. Please invite me. Come gli imbucati a una festa. Tant'è.
Sta di fatto che tutte queste belle novità han come presupposto la mia volontà di condividere qualcosa. O di essere oggetto di condivisione. In modo integratissimo se no non vale.
Così se cerco il numero di telefono del mio commercialista, prima di riuscire a chiamarlo come minimo vengo informata che ha trascorso una serata di rutto libero con i suoi compagni di calcetto e che sta allegramente twittando sui clienti rompicoglioni, dei quali faccio probabilmente parte anche io.
Feeko, come direbbe mia figlia.
Ora mi si può obiettare che forse è lui che sbaglia qualcosa. Può essere. Ma intanto così è.
Per non esser da meno, RockMelt non aveva ancora finito di suggerirmi i link utili per una fantasmagorica marmellata di cachi (provate a riceverne due casse in dono quando voi non riuscite a mangiarli da quando avevate tre anni) che già mi sventolava sotto il naso i nomi degli amici ai quali consigliarla. E fammela almeno provare!

Vergog.Nation

Perché uno ha di che arrabbiarsi. E quando crede che il fondo è stato ormai toccato,
scopre che si può scavare ancora più giù. Ancora e poi ancora.

mercoledì 17 novembre 2010

Citarsi Addosso

Lo so che non sta bene e non è educato il l'avevo detto io. Però io l'avevo detto, nel mese di luglio, che non è che fosse poi una sorpresa la notizia che la mafia sull'Expo ci avesse abbia messo gli occhi addosso e non solo quelli. Perché da queste parti se ne era parlato ben più di un anno fa e come di cosa assodata. Le novità stanno altrove. E se anche uno come Forsyth per scrivere il suo ultimo romanzo decide di venire a studiarsi un po' come vanno le cose dalle parti di Buccinasco - non Scampia, non qualche sobborgo del casertano o del reggino, B-u-c-c-i-n-a-s-c-o - forse la notizia ha ormai varcato i confini del rione. Forse di questo Maroni dovrebbe cominciare a farsene una ragione. E a ragionarci su. Ho detto.

Ailaik

Street art a Milano

martedì 16 novembre 2010

Al volo

No, ecco, una biografia non autorizzata di Briatore era proprio quella che mancava alla mia biblioteca.
[sarà anche una inchiesta giornalistica, ma la pubblicassero sull'Espresso, non la vendessero tra le strenne di Natale]

Debolezze [Delle mie]


Perchè loro a me piacciono, tutti e due.

lunedì 15 novembre 2010

Paternità mis.conosciute

Ovvero cazzata post.prandiale. Come l'ammazzacaffè.


p.s. quando si tratta di mis.conoscere paternità, si diventa pure poliglotti. Per dire.




Comprendonio [durezza di]

Qualcosa vorrà pur dire, se il Pd riesce a perdere anche quando corre praticamente contro se stesso.
E sarebbe anche il caso che qualcuno, dopo aver letto l'elenchino questa sera insieme a Gianfry, ci pensasse un po' su.
Che qui mica si parla di rottamatori, mica.

venerdì 12 novembre 2010

Gracias a la crisi (sperando di non parlare troppo in fretta)

Ci ho fatto caso in questi giorni. Finora nella mia casella di posta, quella vera, quella fisica, quella dove arrivano le cose di carta, è arrivato un-solo-dicasi-un-solo catalogo natalizio. Quello dell'Ikea. Gli altri iper-super-megamercati di zona per ora si astengono. Aperture domenicali incluse, voglio dire. Ho visto qualche sparuto panettone, che chissà perché mi ha dato l'idea del residuato dell'anno scorso, far capolino da uno scaffale. Ma per il resto ancora nulla. Niente Jingle Bells, niente festoni, palline, muschi e capanne. Il personale costa, la tredicesima è già ipotecata, si sta schisci schisci almeno fino a Santambrogio. Che se nevica i milanesi vanno pure in montagna, altro che a far shopping. Quindi, fellows, la notizia buona è questa: non è ancora Natale. Emmenomale.

giovedì 11 novembre 2010

La Scighera

è questa qui
in un'immagine di Renato Casari, datata 1960. Con tanto di ghisa, mica pizza e fichi.

Nebbia a Milano

Che forse l'avevo scritto già se non so se in questa o nell'altra casa. Ma la nebbia a Milano, quella fitta e spessa, non c'è più. Non quella che altrove si racconta per convincersi che l'inverno qui è inospitale. E probabilmente lo è davvero, ma non per colpa della nebbia. Che però stamane è tornata. Sotto forma di scighera, quella sottile e umida, che profuma di foglie secche bagnate, che sparge nell'aria l'aroma dei camini accesi la sera. Che ti fa uscire di casa pregustando già il rientro e il calore di qualcosa di caldo. E non parlo di minestra.

Post triste, ma serve a me

Ovvero parole che non avrei voluto scrivere, ma che dopo giorni ancora frullano dentro di me. E forse tirarle fuori serve a me per riordinare i pensieri. Punto.

Accompagnare nell'ultimo viaggio una ragazza di diciotto anni, unica figlia di una tua amica, è qualcosa che va oltre lo strazio, il dolore condiviso, la com.passione. E' compiere un viaggio nelle tue stesse paure. Quelle alle quali non dai nome, nel timore che con un nome diventino ancor più vere e reali. Come vero e reale è quell'istante fra la vita e la morte. Fra un ciao detto uscendo di casa e una telefonata che arriva mentre fa notte. Quella telefonata di cui leggi sui giornali, ma che mai pensi possa arrivare fino a te. Fino così vicino a te. Così vicino, come il dito di un destino beffardo puntato dritto su di lei. Ma poteva essere un'altra lei. Ancora più vicina a te. E mentre ti sciogli in abbracci di lacrime, ti domandi come potresti mai farcela. Sapendo che non ce la faresti e sperando di non doverlo mai provare. E le domande son sempre quelle. Alla ricerca non di un senso in quel che è accaduto, che un senso davvero non c'è, ma di un senso a te stessa, alla tua vita. Alla vita. Che non sei mai troppo grande per chiederti perché. E mentre accompagni con lo sguardo quel mazzo di palloncini bianchi che volano in cielo, sai che tutti insieme state voltando pagina, per riprendere il cammino, senza di lei. [ciao stellina]

lunedì 8 novembre 2010

Addendum

"Le politiche pubbliche che si realizzano con benefici fiscali sono tarate sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio e orientata alla procreazione".

Poi uno non si deve incazzare, eh.

Addendum dell'addendum:
io son d'accordo con lui. ecco.

Dei buoni propositi che non si mantengono

Io mi ero anche ripromessa di lasciar perdere le italiche miserie, perché mi metton tristezza e sconforto, oltre a lasciarmi addosso una discreta dose di incazzatura. Però quando uno legge che Giovanardi, mandato di gran carriera a sostituire l'impresentabile premier al forum delle famiglie, non ha avuto meglio da dire se non che le biotecnologie tolgono diritti ai figli, uno le promesse se le rimangia anche tutte. Tanto non è che si abbia a che fare con dei gran campioni di coerenza di questi tempi.

E, a proposito di coerenza, il primo che mi viene a dire, così come ho letto, che qualcuno vuole sovvertire la volontà dei cittadini espressa con il referendum del 2005 ricordo un paio di dettagli non da poco.
Il primo - I referendum del 2005 sulla fecondazione assistita, la diagnosi preimpianto e la ricerca sulle staminali embrionali non raggiunsero il quorum. Convertire l'astensionismo in un voto a favore o contro qualcosa è esercizio stilistico nel quale evito di addentrarmi da anni, convinta come sono del valore di ogni singolo voto e allergica come sono a ogni forma di astensione.
Il secondo - Qui se qualcuno ha sovvertito qualcosa è l'attuale governo (con la g minuscola), che se ne è fregato bellamente, lui sì, del referedum del 1987, imponendo al Paese il ritorno al nucleare a suo tempo abbandonato.

Va beh, volevo parlare di polenta, in realtà. Next time.

p.s. questo è il logo Google di oggi. Ci ha il suo perché, oggi soprattutto.

sabato 6 novembre 2010

E.u.geni

In effetti c'è qualcosa di geniale nel varare una norma che assegna il foglio di via alle prostitute che esercitano per strada, mentre si concede il permesso di soggiorno alla escort che esercita nei palazzi. Nel Palazzo, fate voi. A dimostrazione che Gertrude non aveva ragione. Una rosa non è una rosa non è una rosa. Tra una puttana e una escort la differenza c'è. E adesso è sancita a norma di legge.
E poi c'è anche quella faccenduola del WiFi. Il decreto Pisanu non viene prorogato. Alleluja. Ma non tout court, ci mancherebbe. Devono capire cosa metterci al suo posto. E visto che di e.u.geni stiam parlando, chissà come mai non è che mi senta così tranquilla. Soprattutto dopo che qualcuno ha già cominciato a ventilare spauracchi di terrorismo e pedofilia dietro il paravento delle reti aperte. In effetti ho visto orde di pedofili da Barnes & Noble e da Starbucks nei miei recenti viaggi all'estero. Tutti lì, in fila. Ordinata, però.

lunedì 1 novembre 2010

E.u.genio

Ovvero del mistero delle associazioni di idee e delle affinità forse elettive.
Posso capire che quel genio di Genius mi suggerisca di scaricare Il Fatto Quotidiano dal momento che son già abbonata a Repubblica. Ma perché, diamine perché, avendo preso il primo numero de La Vita Nòva dovrei aver una voglia matta di leggermi anche Il Giornale del Camionista?

domenica 31 ottobre 2010

Piccola Città

Sono giorni nei quali le cattive notizie arrivano veloci e precise come stilettate. Quelle braccia che ti prendono, ti mettono seduta, e quel tienti forte che sai già preludere a un inevitabile. E ti domandi anche se davvero abbia senso il tenersi forte, di fronte a destini dai quali non si torna più indietro. E in mezzo alle lacrime, ami gli abbracci, quelli veri, degli amici, dei colleghi, che piangono insieme a te e insieme a te cercano risposte che non ci sono, a meno di arrendersi a quella cieca fatalità che un giorno colpisce un amico, l'altro una ragazza che non ha ancora diciottanni. E speri che il telefono non suoni di nuovo.  Ma riconosci che c'è del bello e del buono anche in questo vivere in un posto troppo grande per essere piccolo, ma mai abbastanza grande per essere davvero città. Dove ci si conosce e si sa come ritrovarsi, se mai ci si è persi davvero. E ti accorgi di quella rete che si stringe intorno a te, della quale fai parte anche tu, maglia tra le maglie, che cerca e dà sostegno. Ed è l'unica cosa che davvero resta, insieme ai ricordi.

venerdì 29 ottobre 2010

Inversamente proporzionale

Quando il lavoro era una quasicertezza, la sede dell'azienda per la quale lavoravo e in qualche modo tuttora lavoro (fatte salve acquisizioni, cessioni, cambi di denominazione intervenuti negli ultimi tredici anni) era moooooolto lontano da casa mia. Ma molto molto. Tipo cinquanta chilometri. A tratta. Vale a dire cento chilometri. Al giorno. Di tangenziale. Che chi da Milano ci è passato sa di quale inferno sto parlando. Secondo solo al Gra, credo. Comunque, col tempo la certezza del lavoro è diventata meno certa. E i chilometri da cinquanta sono scesi a trentacinque. A tratta. Vale a dire settanta chilometri. Al giorno. Di tangenziale.
Tra un mese ci trasferiamo di nuovo. Da casa mia i chilometri diventano sette. A tratta. Vale a dire quattordici. Al giorno. E non di tangenziale, ma di stradine secondarie tra i campi. Temo fortemente per la stabilità della mia posizione lavorativa a partire dal prossimo anno.

mercoledì 27 ottobre 2010

Bookmania

C'è anche che in queste settimane mi sono persa del tutto dietro alla faccenda ebook. E questo è anche un po' strano per chi, come me, lontana dalle librerie non ci sa stare. E che quando va all'estero considera le librerie più o meno alla stregua di monumenti. E siccome all'estero le librerie sono luoghi così diversi da quelle che si vedono da queste parti, mi ci perdo e mi diverto.
Ad esempio, a San Francisco quella di Ferlighetti, dentro, è piena di cimeli, di stampe, di scritte, di ritagli di giornale e di fotografie. E di cartelli come questo, che fanno anche sorridere.


Però ci sono posti come questo, dove le recensioni dei lettori sono infilate tra gli scaffali, così che uno un'idea se la fa, magari solo perché un emerito sconosciuto di quel libro ha scritto proprio quella cosa lì. Adesso tutto è virale, come dicono gli espertoni di Internet, ma a me quei bigliettini mi fan tenerezza.


Comunque, a parte la Citylight, dove quel che conta è più l'atmosfera, tutte le altre librerie all'ebook ci fan più che caso. E non solo vendono i lettori, ma pure i servizi in abbonamento. Che è un po' come prendere il toro per le corna, intanto che ti viene addosso. Non sono sicura che non gli farà male, ma è meglio che star fermi ad aspettare.
E devo dire che io in questa nostalgia per il libro di carta non è che abbia voglia di indulgere. E' un po' come dire che uno rimpiange il fischio del fax. Va bene, farà tanto old economy, ma tra quei rotoli di carta termica che scivolavano per terra e una email, io preferisco la seconda. E per il libro è la stessa cosa. Che è un po' come addentrarsi nella diatriba tra contenuto e contenitore. Non è che un Oscar Mondadori sia poi così bello, per dire. E comunque l'altro giorno d'impulso l'ultimo Montalbano l'ho comprato. Al supermercato. Facendo comunque torto al mio libraio di fiducia. Però in viaggio e in vacanza ci sono andata con l'ebook. Anzi. Con gli ebook. Tanti. Abbastanza da ricordarmi quando me li scarrozzavo sulla spalla, in una borsa a rischio sovrattassa per RyanAir.


Captatio Benevolentiae



E' vero. L'ho fatto. Captatio Benevolentiae. La vostra. E sorrido. Grazie Grazie Grazie.

p.s. Lilith, rivederti mi commuove. Ti scriverò il perché.

Start Again

Non è che avessi fatto voto di star ferma un mese o giù di lì. Giuro. me ne sono resa conto adesso, leggendo la data dell'ultimo post, che la cosa sembra quasi voluta. E invece no. Semplicemente non ce l'ho fatta, per tutto questo tempo, a fermarmi e scrivere qualcosa. O forse ho avuto troppo da scrivere per altri luoghi e altre cose che mi sembrava di lavorare anche qui. Succede. E poi son successe cose, ho visto gente, sono andata qui e là. Comunque son tornata. Nel caso qualcuno si fosse accorto che non c'ero. E nel caso non me ne fossi accorta io.

martedì 28 settembre 2010

Catalanate

E alla fine, dopo 11 giorni 11 in questo posto, qualcosa l'ho capita anche io.
Se abitassi a San Francisco me ne starei all'aria aperta almeno il millepercento in più di quanto non faccio a Milano.
Se abitassi a San Francisco, la mia macchina sarebbe a riparare ogni due per tre. Per i freni, per la frizione, per i cionchi agli incroci.
Se abitassi a San Francisco, per effetto dei due punti sopra citati, avrei gambe e glutei tonicisssssssssimi, a furia di sgambare su e giù, scollinando da una parte all'altra della città.
Ma non abito a San Francisco, quindi il problema non si pone.
Comunque ho fatto anche la turista, anche. Da venerdì pomeriggio a domenica pomeriggio, per la precisione. E ho camminato camminato camminato fino a non poterne più. In religioso pellegrinaggio sono andata al Vesuvio Café, alla Citylights Bookshop di Ferlinghetti, e non mi son fatta mancare quel tuffo in quel regno del freak che è Haight Street. Repechage pazzesco, da Jimi a Janis passando per flower power. Fa un po' tristezza pensare che adesso sia solo folklore, condito da una buona dose di business.
Forse della rivoluzione di allora qualcosa è rimasto, ed è quell'aria da "be what you wanna be" che si respira per strada. In fondo forse la libertà è anche questo.

mercoledì 22 settembre 2010

Neverending

Che forse un po' me la racconto. Ma in questa differita che sto vivendo sulle italiche questioni, quella che mi è "arrivata" (non dieu, sembro la Maionchi) è la notizia della morte della Mondaini. Perché me l'aspettavo, più prima che poi, e poi perché è così che doveva andare. Così che funziona nelle storie d'Amore, quelle con la A maiuscola. Perché dopo una vita insieme, una vita senza non ha più senso. Forse. E se non hai qualcuno intorno che quel senso te lo fa trovare, semplicemente ti lasci morire. Così. O forse son io che me la racconto, perché credo anche un po' alle favole.

Tourbuillon

Ok sono qui da cinque-giorni-cinque e praticamente non ho visto una beatissima cyppa, a parte il fantasmagorico convention center, il Fisherman's Wharf dove mi hanno trascinato due sere a cena, il Science Museum, dove mi hanno ri.trascinato sempre per una cena, rigorosamente DOPO l'orario di chiusura. A Fisherman's Wharf ho visto i leoni marini, però, e questo mi è comunque parso un bel diversivo.
In compenso ho visto come gli ammerikani riescono a organizzare un convegno da 41.000 persone facendolo sembrare quasi una scampagnata, dejeuner-sur-l'herbe inclusi. Bravi, non c'è che dire. Qui in questa sala dove sto rinchiusa per tutte le ore in cui non sono rinchiusa altrove si parlano un sacco di lingue e le facce sono di tutti i colori. Bello. Ho scoperto che la mia vicina di postazione, che viene dalla Malesia, lavora con un'altra collega con cui avevo trascorso una settimana a Taiwan qualche anno fa. Verrebbe da dire che il mondo è piccolo se non fosse per la banalità della cosa e, soprattutto, per la sua falsità. Non è proprio piccolo, no no.
Con i colleghi a Milano la situazione è quasi surreale. Lavoriamo sul ciclo delle 24 ore ormai, io attacco quando loro staccano e viceversa. Sembra quasi efficiente, se non fosse un po' oneroso, ecco.
Comunque stasera dicono ci sia la grande festa a Treasure Island. Solo per noi, per questo manipolo di 40.000, i Black Eyed Peas e la Steve Miller Band. Estiqwatzi.

mercoledì 15 settembre 2010

Me, You, We

Che quando oggi mi hanno abbordato per una intervista per Weporn sono appena un po' trasecolata.
We? Me? You. No, vabbè, Youporn è una cosa. Weporn un'altra: questa. E io non lo sapevo.
Comunque offrivano anche la maschera per non farsi riconoscere. Rosa, a me. Azzurra ai maschietti. Tremendo.


[Merci ma] Tante

Che oggi lo zio [Google] celebra la nascita della zia [Agatha].
Qualcosa come 120 anni fa. E io mi sdilinquisco perché per la zia ci ho un debole.
Tranne quando piazza nelle sue storie Tommy e Tuppence, che quelli non li reggo proprio.

lunedì 13 settembre 2010

Lang e Lang

In effetti è una settimana che rimando la faccenda di Lang Lang, del MiTo e del concerto di lunedì scorso. Però Poison, a casa sua, ha raccontato la questione dalla parte di To e mi è punta vaghezza di decidermi a farlo anche io dalla parte di Mi.
Che poi possiamo dilungarci a disquisire sul fatto che il Palasharp forse non sia la sede migliore per un concerto di musica classica (a proposito, per chi non è di Milano, il Palasharp era il PalaTrussardi, il PalaVobis, il PalaTucker, dipende da quanti anni avete e da quanto in là arriva la vostra memoria) ci sta anche. Ma in fondo c'è una logica di compromesso che in questi eventi fa mettere insieme i numeri, l'impegno economico e gli spazi. E compromesso è stato. Meno peggio di quanto temessi, anyway.
Il punto è che il divo atteso dalle masse plaudenti era lui, Lang Lang, bravissimo ma estremamente compreso in se stesso. Perfetto interprete dell'artista che interpreta un concertista che interpreta un pianista. Per cui già in coda all'ingresso c'eran fanciulle di tutte le nazionalità con gran fasci di rose rosse che persin io ho intuito non fossero destinate al primo violino. Sulle mise, si passava dalla gran sera al bermuda quadrettato con scarpa DC e pedalino in tinta. Passando per bambine con collant bianche e ballerine della cresima e per fanciulle alla loro prima soirée con la pochette di maman. Pace. Si può sorvolare su quasi tutto.
Non su una cosa, però.
E' vero che il divo Lang Lang suonava la prima parte del programma, bis chopiniano incluso. E' però vero che la serata era divisa in due parti, con la seconda ad appannaggio completo dell'Orchestra Filarmonica della Scala, impegnata nella Patetica di Čajkovskij. Quell'alzarsi a frotte, appena il Divo ha lasciato definitivamente la scena, è stato insultante. Per la musica, per l'Orchestra, per gli altri spettatori e credo anche per il Divo stesso, ridotto a fenomeno da baraccone, poco importa cosa fosse sul palco a fare. E son certa che la maggior parte dei transfughi, fanciulla alla sua prima soirée con la pochette di maman inclusa, se lo son permesso perché in fondo costava solo 5 euro. Una logica del costa poco, vale poco, merita poco, che rende certe persone degne di pagare dieci, venti volte tanto per avvicinarsi un'altra volta a un concerto. Nella paludata cornice di un teatro dell'opera, si sarebbero schiodati dalle sedie solo all'ingresso degli inservienti per ripulir la sala. Zotici.

p.s. La seconda parte del concerto è stata semplicemente m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a. Alla faccia loro.

Frappucino, No Thank You

Ogni tanto, più o meno come la leggenda metropolitana del cane thailandese che invece era un topo, salta fuori la questione che Starbucks potrebbe aprire in Italia. Estiqatsi, vien da dire. Cioè, per una che al massimo ordina un Espresso Solo non è che la questione cambi la vita. Si, è vero, qualche volta ordino anche il tè. Capirai. Zero Frappucino, per intenderci. Comunque di avercelo sotto il Duomo non me ne cale proprio, anzi. Un po' come quando viaggiando sulle autostrade all'estero mi trovo davanti un Autogrill. Fuori contesto. Evito.

sabato 11 settembre 2010

Noncihovoglia

Non è che io voglia spacciarmi per quella superimpegnata, perché lo sono ma lo sono anche gli altri e alla fine sembra una gara di celodurismo, io sono più impegnata di te, tiè. È che mi son persa via in questi giorni. E comunque non ne avevo tanta voglia di scrivere. E poi è ricominciata la scuola - una, che l'altra riparte lunedì - e poi c'era il test all'università, e poi c'erano i deliri da rientro in ufficio, che sembra che chissà che sia cambiato e invece siam sempre lì che giriamo come criceti nella ruota. E poi ho fatto la marmellata. Di fichi. Vorrei fare il pesto, oggi, se mi riesce.
E poi c'è una novità.
Non ho fatto nessun proposito, buono o cattivo che sia, per il nuovo anno. E me ne vanto.
Que sera sera.
Oh.

lunedì 6 settembre 2010

Cesoir

Comunque stasera io vado qui. A sentire lui. E sicuramente c'è già qualcuno che storce il naso. Per lui, per il posto, per l'acustica, per Čajkovskij, per qualunque altra cosa. Però io ci vado. Noi ci andiamo. E già l'andarci farà bella la serata. Tutto il resto verrà da sé.

Tell me why I don't like Sundays

Che ieri mi ci son messa pure io ad ascoltare l'ex che parlava da Mirabello. E non è che ne andassi proprio fiera. Però, va a capire che magari si svoltasse davvero. Va bene, ha detto tante cose, condivise e condivisibili per di più. Però lui sta là e vuole un patto di governo. Qualunque cosa sia un patto di governo. E alla fine, dopo tutto l'entusiasmo per il compagno Fini, a me vien solo da dire che io le vesti non me le strappo. Perché tendo a ricordarmi chi è Gianfranco. E lui non ci tiene a dimenticarlo, visto che son settimane che con il suo amico Italo va ribadendo ai camerati che sta a destra. Non a sinistra. Né ci andrà, a sinistra. E allora mi ci incazzo. Perché ci voleva che il tavolino a tre gambe perdesse una gamba per farlo traballare. Mentre l'opposizione... Do you know o-p-p-o-s-i-z-i-o-n-e? Va beh. Bersani in questi giorni deve aver cambiato il ghost writer. Fa battute che vorrebbero essere ficcanti. Magari lo sono anche. Il punto è che non mi sembra che si abbia bisogno di un battutista. Per quello basta e avanza il barzellettiere di Arcore. Anche ammettendo che le elezioni si possano vincere a colpi di boutade, sarà mica il caso di provare a costruir qualcosa? Anche Zelig, alla quindicesima edizione stufa.

venerdì 3 settembre 2010

Spigolature di un venerdì di inizio settembre

Più o meno un question time. Dove la prima domanda è se è davvero necessario proteggere gli imbecilli dalla loro imbecillità. In fondo la selezione naturale un qualche perché ce l'ha sempre avuto.
E la seconda domanda è se sarei/sarò disposta a spendere 40, dicasi 40 eurini per il profumo al limone e pepe nero dei Sex Pistols o di ciò che di loro resta. Non credo. E poi non mi va di sembrare un'orata al cartoccio. Mancherebbe giusto l'alloro. E comunque i Sex Pistols erano un'altra cosa.
Terza domanda, e poi potrei chiuderla qui. La Santanchè-Santanché-Santanscè chiede a gran voce una legge anti-burqa e si domanda dove sia lo sdegno dei militanti di sinistra nei confronti della condanna di Sakineh Ashtiani. Perché mai la signora non ha fatto sentire il suo di sdegno la scorsa settimana, di fronte alle 500-hostess-500 chiamate a raccolta - qualcuna pure velo-munita - ad ascoltar la predica di Gheddafi?
Sarà.

giovedì 2 settembre 2010

Koh-i-Noor

Che non è il diamante, ma per me vale anche di più. Perché il diamante non me lo posso permettere, ma le matite colorate invece sì. E poi io son di quella generazione che cartoleria era l'isola del tesoro e il cartolaio, per non parlar del figlio, l'uomo baciato dalla fortuna. Così rendersi conto che a České Budějovice c'era la sede della Koh-i-noor ha quasi tolto ogni altra attrattiva alla città, che tra la piazza e la Budweiser Budvar ne avrebbe parecchie, in realtà. Il regno della matita, voglio dire. Mica pizza e fichi. La fabbrica è di quelle come si disegnavano una volta: con i mattoni rossi e una luuuuunga ciminiera che si vede da lontano. Ma non si può visitare. Non da turisti, ecco. In compenso c'è la miniera di grafite, che adesso non ci lavora più nessuno perché è antieconomico e la grafite conviene farla arrivare dalla Cina. Quella si visita, invece, e ti portan giù con dei carrellini che sembra Gardaland, se non fosse che nessuno lì ci rideva, quando andava a far saltar la roccia. E poi si sguazza in acqua e pantano e si ritorna su con la faccia tutta nera, e con le dita tutte impastate a furia di sfregarle su quella vena che ancora c'è. E poi, in città, c'è lo spaccio. Un cartolaio, né più né meno. E noi a far la coda insieme alle mamme ceche, pronte con gli acquisti per la scuola. La loro. Noi estasiate davanti a scatole e scatole di matite, sanguigne, carboncini, pastelli, mine, inchiostri. Che alcune le avrei comprate solo per quanto eran belle. Per appenderle come un quadro alla parete. Poi ho desistito. Un po'. Solo un pochino, però.

martedì 31 agosto 2010

Stránky pro Maminki

Che da quando son ritornata dalla Cechia, il mio Facebook continua a mostrarmi gli Adsense pieni di consonanti e vocali accentate. Che vallo a capire cosa significa (e come si pronuncia) jejich eh. Quasi come il vulcano a primavera. Comunque questo è l'aspetto più esotico di una vacanza sulle rive della Moldava, che là chiamano Vtlava tanto per cominciare. La lingua. Ora, se uno decide di trascorrere qualche giornata a Praga, probabilmente può fare a meno anche dell'inglese superbasic. In birreria ci han mandato il cameriere italofono, mentre il tavolo accanto era servito da un francofono, per capirci. Ma se uno decide di seppellire se stesso, la sua famiglia e un gruppo di amici in un borgo della Boemia meridionale, come minimo non dovrebbe dimenticarsi a casa il dizionario faticosamente scovato in Feltrinelli. Cosa che qualcuno a caso (e non vorrei dire chi è stato quel qualcuno) ha fatto. Può tranquillamente dimenticarsi invece l'inglese, superbasic o very advanced che sia, a meno che non decida di interloquire con autoctoni dai venti anni in giù. Con tutti gli altri, meglio rispolverare quel po' di tedesco studiato negli anni d'università, insegnare a tutti i componenti del gruppo a contare eins-zwei-drei, per lo meno fino a acht-und-zwanzig, e poi affidarsi al vecchio caro linguaggio dei segni. Perchè quando ho detto al macellaio che di bistecche ne volevo vierzehn e lui mi ha ripetuto tre volte vierzig, ho dovuto sparargli davanti agli occhi due palmi di mano spalancati e un bel quattro, onde evitare che lui si suicidasse dinanzi alla prospettiva di tagliarmi quaranta fettine lì lì sul momento.
La spesa al supermercato resta comunque il momento mistico. Dopo aver imparato che la lekarna è la farmacia e che le bramborovi sono le patate, ci siamo arrese di fronte al latte. Plnotučný è quello intero. Polotučný è quello scremato. Forse. O al contrario. A caso. E nessuno è morto.

lunedì 30 agosto 2010

30 denari

Va beh, qualcuna terrà anche famiglia. Però me lo son chiesta chi glie lo ha fatto fare, per 80 euro. Lordi. 64 se per interposta persona. Lordi. E un Corano come cotillon.

La vignetta è la risposta che mi son data da sola.
Comunque c'è un nemmen tanto sottile fil rouge tra l'intrattenere 500 hostess con una lezione sul Corano
e l'imbesuire una ventina di escort con le canzoni di Apicella. O no?

Back

Devo solo decidermi se sentirmi rondine, rondone o cicogna. Escluderei la gru, per evidenti e fisici motivi. "Cerca di sentirti oca", come diceva l'indimenticabile Adelina, o forse era Guendalina. Facciamo anatra, va. Comunque come sono andata, così son tornata. Breve migrazione. Che almeno fosse durata il tempo di una stagione. Comunque ho un po' di appunti sparsi qua e là. E proverò a ritrascriverli qui.
E in ogni caso, riprendere il lavoro il giorno in cui lo zio ricorda Mary (Shelley) ha un che di sinistro. Appena appena.

martedì 17 agosto 2010

Appunti sparsi

Come prevedevo Jugendstil, Biedermeier e Secessione alla fine hanno avuto la meglio sul ridondante Barocco e i nostri ciondolanti adolescenti hanno mostrato un discreto entusiasmo sia al Belvedere sia davanti al fregio di Beethoven. Forse non tutto è ancora perduto. Il massimo dei consensi l'ha ottenuto tuttavia Hundertwasser e c'è chi chiede perché ancora non ci è venuta in mente una vacanza in Giappone per andare a vedere l'inceneritore di Osaka. Già, chissà perché.
Ci è sembrata poi doverosa la sosta a Mauthausen. Ed è difficile raccontare la pena provata in quel luogo. Meno difficile raccontare il nervoso davanti alle frotte di italioti intenti a scattar foto ricordo, davanti ai forni o nelle camere a gas. Mettiti lì che ti faccio la foto. Sarà un bel souvenir. Imbecilli.

E ora, la Cechia!

mercoledì 11 agosto 2010

Venti anni dopo

Che Dumas non c'entra, ma Vienna si. Perché tornarci venti e un pezzo anni dopo fa un certo effetto nel quale il dejà vu trova poco spazio. E in realtà la mia mente sta facendo carambole per ritrovare i luoghi di allora. Anche perché all'epoca io, innamorata dello jugendstil, della Vienna imperiale un po' me ne disinteressavo. Cosa che il manuale del turista naturalmente proibisce di fare. Comunque oggi si va dritti a Schoenbrunn, così imparo.


p.s. per chi passa di qua: vedo i vostri messaggi, ma da mail non riesco a rispondervi. Grazie per ora!

lunedì 9 agosto 2010

Cinica.mente

Va bene, non c'è rispetto lo so. Anzi, io non ho rispetto, lo so. Però ieri quando ho sentito la notizia della morte del campione del mondo di sauna, due-pensieri-due hanno attraversato fulminei quel poco spazio intracranico che mi ritrovo. Uno: perché, esiste anche un campionato mondiale di sauna? Due: non proprio il miglior modo per morire, se mai ve ne fosse uno. Al vapore, più o meno.

domenica 8 agosto 2010

Anticip.azioni

Oggi ho iniziato a metter mano ai bagagli. Che detto da me è su per giù come quella storia della neve a ferragosto. Me ne stupisco per prima. E non so se è voglia di credermi efficiente, una volta tanto, o semplicemente che non vedo l'ora che trascorrano questi ultimi giorni che ci separano alla partenza. Comunque ho stampato lo stampabile, riordinato la check list, buttato in lavatrice quelle cose che davvero non si possono lasciare a casa e mannaggia sono sempre quelle che si portano e riportano, messo da parte le guide e gli appunti di viaggio, invitato gli amici a cena per la classica operazione svuotamento frigorifero. Che infatti adesso risuona quasi lugubre, con quei pochi avanzi solitari destinati a soccombere definitivamente nei prossimi giorni. Questa sera, in un moto di preoccupante efficientismo, io e la mia amica abbiamo pure cercato i parcheggi vicini all'albergo di Vienna. Probabilmente li indica anche il navigatore, ma vuoi mettere la differenza nel saperlo già? Mio fratello venuto da Zurigo per il fine settimana, invitato ovviamente all'operazione svuota-frigo, si aggiorna sulle ultime novità italiote, laurea honoris causa a Bossi inclusa. Lui era fermo alla Brambilla contro il Palio di Siena. Gli mancava anche la crociata contro i calcio-balilla, che si sa che son problemi veri signora mia. Va beh, ormai nega di essere italiano, quando sta là. Moi italien? Non, je suis Catherine Deneuve. Si, vero, lì parlano tedesco, ma l'importante è confondere le acque. Che uno non ha voglia di doversi sempre giustificare per gli altri.
Comunque poi uno legge che il Ceo di Hp se ne è andato perché aveva intrallazzato con una collaboratrice e per aggiudicarsene le grazie le aveva firmato qualche rimborso spese non proprio ortodosso. Scoperto il fatto, è stato messo alla porta senza troppi complimenti. Perché altrove certi comportamenti sono considerati contrari all'etica. Altrove, appunto. Poi uno si domanda perché ho già messo mano ai bagagli eh.

giovedì 5 agosto 2010

Piove sempre sul bagnato

No, per dire, visto che tanto è da stamane che non smette un attimo.
Tra quello che gli compran l'appartamento a sua insaputa, quello che vince al totocalcio o al casino e l'altra che le regalano i sassolini, pure sporchi e un po' bruttini, com'è che a me queste sfighe non capitano mai?

Four.che?

E comunque [si, poi la finisco di iniziare coll'ecomunque] quando sono entrata dalla parrucchiera non ho mandato alcuna notifica. Non ho fatto il check in da jld c/o centrocommercialedellacittàsenzapiùcinema. Perché immagino non glie ne freghi una cyppa a nessuno. Più o meno come non me ne frega a me di sapere chi è entrato in pizzeria, nel sushi bar o chi vaga per qualsivoglia aeroporto in qualsivoglia parte del mondo. Tanto, se sei a Karachi non è che faccio un drop in giusto per stringerti la mano eh. Ma un po' di casualità, negli incontri, mai?
[ok, mi manca qualche pezzo nel mio essere social, ma io foursquare mica ho ancora capito a che serve veramente]

Coiffeuse

Che quando ieri il collega dell'ufficio tecnico mi ha chiamato dicendomi che questa mattina non avrei potuto lavorare, in quanto avrebbe buttato giù il server (qualunque cosa questa operazione potesse significare) non è che mi sia messa esattamente a piangere. Me ne son fatta una ragione, cioè. In un nanosecondo per di più. Così stamattina ho provato l'ebbrezza del giro dalla parrucchiera infrasettimanale. E di mattina come se non bastasse. Roba che mai nella mia vita degli ultimi 20 anni, credo. Comunque speravo in qualcosa stile telefilm, con tutte le sciure che se la contan su e magari hano qualche pettegolezzo succulento sul circondario, di quelli che si fa finta di non sentire ma poi si riportano alle amiche e alle amiche delle amiche e via discorrendo. Illusa. Sarà che pioveva a catinelle e probabilmente son stata l'unica imbecille ad andar stamane a sistemarsi la criniera incolta. Sarà che le sciure son tutte in vacanza. Sarà che anche Desperate Housewives dopo la seconda serie è un trituramento di maroni, fatt'è che il massimo del pettegolezzo sul quale avrei potuto contare sarebbero state le news su Belen sui giornali in bella mostra su un tavolino. Sai che palle. Comunque oltre alle stagioni, anche le coiffeuse non son più quelle di una volta.
Per fortuna che al centro commerciale c'erano ancora i saldi. Mica avrei potuto sprecare una inattesa mattinata di libertà, vero?

martedì 3 agosto 2010

Elvira dai libri Blu

Per Tabucchi, per Sciascia, per Carofiglio, per la Gimenez-Bartlett.
Ma soprattutto per Camilleri, Salvo e Mimì,

lunedì 2 agosto 2010

San Tini

E comunque in Tv sta passando la pubblicità della collezione dei santini di Maria e Gesù.
E' davvero estate. Quella che prelude l'autunno. Desolante.
E comunque c'è anche quella del Titanic in legni pregiati e fotoincisioni in ottone.
130 comodi e modici fascicoli.
Estiqaatsi.

A volte succede

Va bene, l'avevo snobbato. Non solo un po'. Un po' tanto. Tanto tanto. Ma adesso che mi è stato regalato, me ne sono innamorata. Incoerente, lo so. O semplicemente mi sono ricreduta. Succede, a volte.

Ricordi e Indimenticanze

Ieri in tanti su FB si son rimbalzati questo articolo di Stefano Benni. Passaparola. Io, di Benni, oggi rileggo questo racconto. Perché ci sta. E perché non è solo questione di ricordare, ma di non dimenticare. E di continuare a scavare. Non solo a Bologna.

Addendum necessario, indirizzato al ministro La Russa: alle cerimonie di commemorazione
si va per ricordare, non per essere applauditi.


Il Bar di una stazione qualunque
Il bar della stazione della città di B. ronzava di gente.
Erano i giorni di punta dell'esodo vacanziero. Truppe valigiate e zainate riempivano e svuotavano i treni, attendevano stremate dal caldo, si accampavano nelle combinazioni più teatrali, dal presepe al bivacco militare.
E soprattutto si accalcavano alle casse del bar, inseguendo glaciali lattine e rugiadose bottiglie che, una volta conquistate, reggevano alte sulla testa come ostensori, o cullavano maternamente tra le braccia. Soldati in divisa guatavano nordiche rosee, chitarre di alternativi sfioravano teleobiettivi di samurai, mamme monumentali controllavano diserzioni di prole, babbi carichi come somari tentavano, con l'ultimo dito libero, di tenere al guinzaglio un botolo scatenato dagli afrori. Pazienti ferrovieri fornivano indicazioni a suorsergentesse di brigate rosariate mentre branchi di giovanetti si spostavano compatti, e le sponsorizzazioni delle magliette si confondevano con quelle degli zaini, tanto da farli sembrare un enorme polipoide pronto a scivolare dentro al treno da un unico finestrino.
Quattro africani, ognuno con la boutique al seguito, cercavano di piazzare mercanzia con alterna fortuna, un quinto riposava sdraiato tra collane, giraffe e occhiali neri, come il sultano di una reggia in liquidazione.
Due vecchie vestite di nero, in transito dalle isole, tagliavano fette di provola per una nidiata di marmocchi in mutande.
Un uomo obeso, sudato, beveva birra a collo e mostrava coraggiosamente al mondo due cosciotti da tirannosauro sboccianti da shorts fucsia con la scritta "SportLine". Un barbone camminava reggendo nella mano destra una busta con la casa e nella sinistra il guardaroba.
Un'antilope bionda, bellissima, ambrata, avanzò tra i tavoli accendendo i sogni di tutti i militari presenti, ma ahimè, poco dopo la affiancò un Thor in canottiera traforata a riccioli biondi che educatamente si mise in fila troneggiando sopra brevilinei calabresi e sbarbine romagnole già rombanti in pole position per la discoteca.
Si attendeva il 9,06 in ritardo, il 9,42 speciale, il 10,00 seconda classe settori B e C. Tutti erano partenzapèr o arrivodà.
Solo due clienti del bar sembravano indifferenti alla generale eccitazione, come separati dalla folla da un velo invisibile.
Uno era un occhiceruleo, con un vetusto completo kaki, bastoncino di canna e sandali con calzini di lana.
L'altro un uomo tozzo coi capelli corti, occhiali a specchio, e un completo blu di una certa eleganza. Erano seduti vicino all'entrata del bar. Il vecchio, che chiameremo il Parlante, sorseggiava una birra. L'uomo con gli occhiali neri, che chiameremo il Silenzioso, beveva svogliatamente un caffè freddo.
Chiaramente il Parlante aveva voglia di attaccare discorso e il Silenzioso no: ma in queste situazioni un Parlante è sempre in nettissimo vantaggio. Basta che parli. E cosi' fu.
- Certo, ce n'è di gente oggi - esordi'.
- Abbastanza - grugni' il Silenzioso.
- A me non dispiace, - prosegui' il Parlante, per niente scoraggiato dal preventivo mugugno - voglio dire, una stazione strapiena può dare ai nervi, ma una stazione vuota è triste. E poi, non so come spiegarle, questa gente che parte per le vacnze mi sembra più allegra, frenetica, ma piena di buonumore, non trova?
- Se lo dice lei - rispose il Silenzioso dietro la cortina degli occhiali.
- Io non parto - disse il Parlante, ormai lanciato. - Quest'estate resto in città, mia moglie ha dei problemi di cuore, e i medici ci hanno sconsigliato di muoverci, allora mi piace venire qua perchè nel mio quartiere c'è un gran mortorio, sembra tornato il coprifuoco. Qua ci sono tante facce, dei bei giovani, delle belle giovanotte abbronzate. E la gente sembra migliore, ride di più, si chiama a alta voce, scherza. Forse perchè stanno partendo, e sperano di trovare qualcosa di buono là dove vanno. Si parte per questo, no?
- C'è anche qualcuno che sta già tornando - disse il Silenzioso.
- Si', ritornano e allora osservo quelle belle scene che mi piacciono tanto, uno scende dal vagone e guarda in fondo al binario, affretta il passo e poi riconosce la persona che lo aspetta, e le corre incontro. Si vedono degli abbracci che non si vedono tutti i giorni. E certi baci appassionati! E' un momento che ci si vuole bene, magari un'ora dopo si litiga ed è già tornato tutto normale. E si hanno tante cose da raccontare; magari in vacanza non ti è successo granchè, ma raccontandolo tutto si colora, si trasfigura. Anche senza volere, la vacanza diventa più bella di come è stata: le cose brutte diventano quasi comiche, le cose belle diventano uniche. Non trova?
- Non lo so. Non racconto mai quello che mi succede in viaggio...
- Ce n'è anche quelli come lei, che si tengono tutto dentro, come un bel segreto, da coltivare durante l'inverno, come una pianta che si compra in vacanza e si mette sul balcone. E magari tornando si accorgono che gli mancava la loro vecchia città, che sentivano un pò di nostalgia. Il loro quartiere sembra meno noioso del solito. Fanno progetti, si dicono: "no, questo inverno non andrà come l'anno scorso". Magari questi progetti si spengono in fretta, ma che importa? E quelli che partono? Si stancano più a organizzare la partenza che a lavorare una settimana, ma sembrano contenti. Perchè sperano che là, nel posto dove arriveranno, ci sarà qualcosa di nuovo, che cambierà il loro destino. O magari gli basta qualche foto da guardare nelle sere d'inverno. Che ne pensa?
- Penso, - disse il Silenzioso con un sorriso sarcastico - che lei dovrebbe andarci piano con la birra.
- Parla come mia moglie, - sospirò il vecchio - ma vede, dal momento che non parto, non mi va di stare chiuso in casa a mugugnare da solo, o guardare alla televisione gli ingorghi sulle autostrade, o invidiare quelli che sono partiti. Vengo qui e faccio anch'io parte della festa, immagino dei posti al mare o in montagna, o in un'altra città, dove ci potrebbe essere qualcosa di speciale per me. Ecco, guardi quella ragazza: c'ha scritto sulla schiena "Ocean Beach". Se la guardo, già sento aria di mare, e vedo le palme.
- Guardi che "Ocean Beach" è la marca dello zaino. E non sente che qua dentro manca l'aria per la ressa?
- Ha ragione - disse il Parlante. - Si', anche a me spesso la folla dà fastidio. Divento nervoso nelle file, soffoco quando sono circondato dal traffico, mi viene da dar di matto, vorrei roteare il bastone e gridare via, via, lasciatemi un pò di spazio, due metri, tre metri almeno. E poi ci sono i rumori che ti svegliano la notte, i motorini, le facce ostili alla finestra, il nervosismo di quelli che credono di essere gli unici a patire il caldo. Si', qualche volta mi arrabbio, ma poi mi chiedo: vivere insieme in fondo non è questo? Difendere il proprio diritto ad avere un pò di spazio, aria, silenzio, rispetto, speranza, ma senza aver paura di ciò che ci circonda, non vedere nemici dappertutto, invasori, gente che ti passa davanti. Lei, se per strada qualcuno la urta, cosa pensa? Che l'ha fatto apposta?
- Ma che razza di domande, - si spazienti' il Silenzioso - e poi di che rispetto parla, non vede quanti barboni, quante persone inutili, miserabili, disperate, ci sono qua dentro?
- Forse ha ragione. Ma non li guardi nel momento in cui sono feriti, chini a terra, vinti. Li guardi nel momento che si tirano su, che sono allegri, che cercano di respirare. Guardi quel nero: carico come una bestia, va a vendere chissà cosa in chissà quale spiaggia, e canta. E guardi come si gode la sigaretta quella vecchiaccia. E quella coppia di ragazzi, beh, non sono proprio dei modelli di eleganza, ma vede come sono abbarbicati insieme a dormire, li' per terra...
- Si', capisco cosa pensa - prosegui' il vecchio. - Che lei è diverso, che non è affar suo occuparsene. Eppure sono sicuro che anche lei, almeno un giorno della sua vita, era ridotto da far pena. Ma negli ultimi tempi, in questo paese, si fa più in fretta a buttare via la gente. Si è accorciata la data di scadenza come gli yogurt. Vecchio, alè, scaduto. Drogato, alè, non dura un mese. Disoccupato, alè, tanto finisce male. Per carità non vorrei buttarla in politica. Ma di questo passo facciamo cittadini solo quelli che tengono il ritmo del gruppo, non so se lei si intende di ciclismo, o anche peggio, quelli che marciano tutti al passo, o quelli che c'hanno i soldi da farsi portare a spalla.
- Calma, calma, - disse il Silenzioso - altrochè politica, lei mi sta facendo un comizio!
- Ha ragione, sono un chiacchierone. Ma ogni giorno vedo gente diventare cattiva per niente, odiare quella che non conosce, ripetere i tormentoni della televisione invece di dire quello che c'ha dentro. Allora mi arrabbio. E a me, glielo dico subito, se la borsa sale o scende non me ne frega niente. Io vedo se sale o scende l'avidità e la cattiveria. E sa cosa le dico? Ma che miseria, che crisi! Noi siamo un paese che potrebbe esportarla l'allegria, come le arance, aiutare gli altri paesi, potremmo essere gente che regala la speranza, invece di aver paura di tutto e montare le fotoelettriche intorno alla casa.
- Ma che discorsi sconnessi. Ci vorrà pure un pò di ordine - sbuffò il Silenzioso.
- Ha ragione ha ragione, sto esagerando. Volevo solo spiegarle perchè passo il mio tempo qui. Perchè penso che bisognerebbe sempre sentirsi come se si partisse il giorno dopo, o come se si fosse appena tornati. Tutto diventa più prezioso; quello che si lascia e quello che si trova. Il dolore è facile da ascoltare, quello che arriva addosso, urla una voce terribile, è sempre lui a raggiungerti. La speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltere. O venire in una stazione.
- I suoi sono discorsi da pomeriggio estivo, - disse il Silenzioso consultando l'orologio, - ma mandare avanti un paese è molto più difficile.
- Ne convengo - disse il vecchio sorridendo. - Mi scusi se le ho attaccato un bottone, vedo che lei sta partendo. Beh, spero che vada in un bel posto e che passi una bella vacanza.
- Grazie - disse l'uomo, e si allontanò, fendendo deciso la calca.
- E' difficile parlare con un uomo che ha gli occhiali neri, - pensò il vecchio - non si vede mai cosa pensa davvero. Forse l'ho annoiato. O forse il mio discorso lo ha toccato. Sembra che a certuni perlar di speranza metta paura. Eppure a me questa gente che parte e torna mette allegria. Si' , saran avidi, nervosi, pigri, disordinati, cialtroni, si spingono e si rubano il posto ma hanno diritto di provarci un'altra volta, han diritto di cercarsi un posto migliore, o di tornare a casa e ricominciare. Si, ricominciare almeno una volta prima di rassegnarsi. Non è molto, ma è qualcosa.
Una famiglia gli passò davanti di corsa, il treno stava arrivando. Un bambino correva goffo, trascinando un triciclo rumoroso. La bimba teneva la mano sul cappello di paglia per non perderlo. Il padre aveva un gilè da pescatore a trenta tacshe e naturalmente non trovava più il biglietto. La madre lo perquisiva rimproverandolo. Il barbone, guardando la scena; rise. Il nero addormentato si svegliò sbadigliando come un leone.
Il vecchio aveva finito la birra, si asciugò la fronte e usci', un pò barcollante, sulla pensilina del primo binario. Venendo dall'aria condizionata del bar, fu come tuffarsi nel brodo. Vide il Silenzioso che si avviava verso l'uscita. Gli sembrò che non avesse più la valigia, ma non ci fece troppo caso. Era troppo incantato a guardare la gente. Gli sembrava di aver scoperto qualcosa, qualcosa di importante che gli sarebbe servito per quello che gli restava da vivere.
"Se avessi con me un quaderno ce lo scriverei sopra" pensò.
"Oggi, stazione di Bologna, due agosto di un anno vicino al duemila, ore dieci e venti del mattino, tutti sono allegri perchè partono, e faccio finta di partire anch'io".